Vendül e la valanga del Covid 19. Pensieri dalla truna.

La truna è un bivacco di emergenza realizzato scavando nella neve. Viene utilizzato da chi frequenta la montagna d’inverno o ad alte quote in caso di necessità, quando il tempo avverso o una valanga impedisce di muoversi sia verso le vette che in direzione della valle.

Ecco qualche riflessione proveniente dalle nostre trune domestiche.

1. La metodologia dell’apprendimento esperienziale ci ha dato la possibilità in questi anni di portare le persone in contesti tendenzialmente sicuri, in modo che potessero allenare la loro capacità di scegliere, decidere e rischiare.

Ma possiamo parlare veramente di allenarsi a rischiare in un ambiente sicuro?

Per comprendere quello che è il nostro lavoro possiamo pensare all’esercizio che il trapezista compie per molto tempo e da diverse altezze prima di togliere la sua rete di sicurezza. Abbiamo facilitato la crescita delle persone con cui abbiamo lavorato, offrendo loro occasioni di allenamento più o meno spinto, in contesti il più possibile autentici, preoccupandoci della sicurezza da un punto di vista fisico e personale. Ogni partecipante è stato libero di posizionare la propria rete di protezione in ogni momento e all’altezza desiderata, sia durante l’esperienza formativa che una volta rientrato nel proprio ambito di vita lavorativa e personale.

La formazione esperienziale è un processo di crescita nel quale ci si sperimenta da diverse altezze rispetto a sé, agli altri e all’ambiente, facendolo in situazioni (quasi) reali. In modo simile l’atleta prepara la gara attraverso l’allenamento: lavorando, cioè, nella fase dell’azione – esecuzione dei vari esercizi – ma anche in quella riflessiva – analisi degli esercizi fatti.

L’esperienza formativa è reale e faticosa, come lo è per l’atleta un buon allenamento. Da un lato, esso rende più forti e capaci, dall’altro prepara a riconoscere e gestire quegli aspetti di incertezza che potrebbero presentarsi in ogni momento. L’esperienza formativa come l’allenamento ci aiuta a capire ciò di cui abbiamo bisogno per crescere nella nostra performance ma questo non significa che la nostra performance potrà essere controllata.

Accettare che non è possibile controllare quello che può accedere in una gara come nella vita di tutti i giorni, anche se ci siamo allenati adeguatamente, è il primo passo per prepararsi ad essere impreparati. Saper stare nell’incerto e coglierne il valore potrebbe essere il secondo passo. Generare lo sviluppo proprio laddove regnano disequilibrio e incertezza è un’arte rara, propria ad esempio degli esploratori.

2. Come collettivo Vendul abbiamo intitolato Prepararsi ad essere impreparati l’insieme delle nostre proposte di formazione in natura poiché sin dai nostri inizi, circa due anni fa, abbiamo ritenuto essere questo il focus formativo più attuale e adatto al nostro approccio in natura. Oggi è divento sin troppo attuale…

In queste settimane siamo un po’ tutti entrati in una sessione di allenamento non prevista né richiesta. Non abbiamo grandi reti di protezione, o meglio, non possiamo scegliere l’altezza dalla quale esercitarci. C’è chi è in primissima linea e chi nella propria casa. Nessuna delle due sfide è comoda. Ci sono tolte molte risorse che fino a ieri abbiamo vissuto come ovvie, scontate, forse banali. Come nello scenario formativo migliore siamo tutti fuori dalla zona di comfort. Qualcuno sta sperimentando sofferenza e dolore molto da vicino. Altri, come noi, solo un periodo di reclusione forzata.

Sentiamo che questo presente ci chieda di investire nella riflessione, di metterci un poco in discussione nel cercare nuovi equilibri. Non è per noi il momento dell’azione né di una ricerca veloce di strumenti adatti a questo momento. Siamo educatori esperienziali e torneremo nelle nostre aule preferite, fatte di spazi e di confronti, di dialogo e di contatto, di pensiero e di azione.

Che cosa sta accedendo? Che cosa ci sta accadendo?

Qualcosa di nuovo può generarsi da questo pazzo scenario del COVID 19? Dal Fuori avvertiamo qualche possibile risposta…

3. In questi giorni difficili il suono della montagna sta arrivando al piano.

Il suono che sino a pochi giorni fa era relegato entro spazi ristretti e nascosti, lontani dagli spazi invasi dagli umani, sta scendendo le valli e raggiungendo le città.

Nella montagna selvaggia nulla è silenzioso, mai un momento di quiete, eppure è così difficile ascoltare.

Perché il silenzio che abbiamo sempre inteso è l’assenza di quello cui le orecchie sono abituate, silenzio dalle auto, dalle voci umane. 

In realtà la montagna è un suono di mille voci, in ogni ora del giorno e della notte fa rumore. Acque, frane, ghiaccio producono incessantemente un canto costante.

Sino a poche settimane fa era difficile ascoltare la natura.

Non più circondati da infiniti rumori artificiali ora quel suono di mille voci ci pervade.

Ogni animale del bosco pare aver amplificato la propria traccia sonora.

Ovunque, anche in città, gli uccelli emettono canti che durano anche diversi minuti con variazioni nuove e costanti.

E’ un tripudio di canti, lunghi e profondi fischi si alternano con suoni veloci, melodiosi o ripetitivi.

Impossibile non ascoltare, non fare attenzione!

La nostra percezione, non più disturbata dai rumori della modernità confusa è giocoforza amplificata.

Ciò vale anche per la vista.

La reclusione forzata trasforma una misera ortica cresciuta tra le crepe dell’asfalto in un incontro inatteso. Alberi scarni in un respiro profondo.

Usciti dal fracasso dell’esagerazione, vediamo più chiaro.

Facciamo tesoro, conserviamo la possibilità di osservare più in profondità, cogliere sfumature e i dettagli.

Quest’incertezza potrà aiutarci ad allargare, almeno un poco, i confini della consapevolezza?

Per finire. Forse non è questo il momento di correre per dimostrare di essere i più bravi e i più forti – non lo è mai quando il terreno è incerto – ma di allenarsi a fare attenzione. Forse da questo tempo nasceranno idee e proposte nuove ma dovranno comunque saperci portare fuori ad apprendere.